Greenwashing aziendale o reale impegno verde?
Spesso sentiamo parlare di biodegradabile, tuttavia dobbiamo saper distinguere tra i tanti articoli che compriamo (dai prodotti per l’igiene personale a quelli per la pulizia della casa o per la cura dei nostri animali) quando l’etichetta “biodegradabile” è diventata veritiera oppure un mero caso di greenwashing.
Negli ultimi anni sono state adottate politiche per limitare l’uso della plastica e così il mercato si è orientato verso soluzioni alternative. La direttiva europea sui prodotti monouso dello scorso luglio, molta plastica è stata sostituita da materiali come la
bioplastica e la carta. L’obiettivo è limitare l’impatto dannoso dei rifiuti.
Tuttavia, il vero significato di queste definizioni green è spesso ancora oscuro, anche perché non tutte le aziende aiutano a guidarci verso uno smaltimento corretto.
Biodegradabile Vs compostabile
“Biodegradabile” e “compostabile” non sono sinonimi. Un materiale compostabile è anche biodegradabile, ma un materiale biodegradabile non è necessariamente compostabile né ecosostenibile. Infatti per il materiale biodegradabile occorrono circa 6 mesi per decomporsi al 90% e solo in particolari condizioni ambientali; quello compostabile si degrada per intero senza lasciare residui, in tempi più brevi – circa tre mesi – e dopo il trattamento in impianto industriale può essere riciclato come fertilizzante naturale producendo anche biometano, una fonte di energia rinnovabile.
Ecco perché la raccolta dell’umido ha un valore strategico anche dal punto di vista energetico.
Siamo portati a pensare che tutto ciò che è biodegradabile si possa decomporre senza conseguenze, ma non è così.
Un materiale classificato come biodegradabile non ha sempre un basso impatto ambientale, anzi: spesso alcuni prodotti
devono essere sottoposti a processi di smaltimento industriale che producono emissioni inquinanti e in ogni caso non
si degradano in natura in tempi brevi né senza conseguenze sull’ambiente.
Ecco perché la dicitura “biodegradabile” se non è accompagnata da informazioni sul corretto smaltimento è ingannevole ed i cittadini sono le prime vittime di questo meccanismo distorto, che li induce in errore e che purtroppo comporta costi aggiuntivi per gli impianti di compostaggio, spesso intenti a dover togliere plastiche ed altri materiali finiti inopportunamente nell’umido.